A New York sceglie una stanza da 15 dollari in Stanton Street, nel Bowery, un quartiere di tuguri cadenti, abitato da miseria, vizio, morte e sofferenza. Congdon cerca in quel dolore lo stesso male “da redimere” che ha visto a Bergen Belsen. Diventa vitale, per il suo dipingere, la necessità di imbattersi quotidianamente in esperienze-limite, come il dramma della vita e della morte. Un dramma che assume forme sempre nuove. Nel giro di soli tre mesi, Congdon abbandona il degrado della Bowery per il lusso di Park Avenue, in cerca di altre immagini. Le facciate cadenti del Bowery diventano inquietanti paesaggi urbani, in cui il nero si dilata come una macchia (Explosion), fino a seppellire l’intera città nei quadri successivi (le Cities).
In patria i quadri di Congdon cominciano a godere di una certa notorietà. La scena newyorchese è in questi anni dominata dall’esplosione dell’action painting, o pittura d’azione. Invocando una libertà totale dalle gabbie della tradizione, gli action painters lasciano gocciolare il colore, oppure lo gettano sulla tela, con gesti del tutto istintivi, guidati dal loro subconscio.
Nel 1949, al rientro da lunghi viaggi in Italia, la fama di Congdon aumenta grazie all’incontro con Peggy Guggenheim e Betty Parsons, gallerista di tutti gli artisti della nuova generazione della “Action Painting”, tra cui Pollock, Rothko, Motherwell, Barnett Newman. Dall’incontro con gli action painters nasce la consapevolezza, se non l’orgoglio, di essere artista pienamente americano. Questa coscienza non lo abbandonerà più nei successivi anni di “esilio”, anzi accentuerà il suo senso di isolamento, ma anche l’originalità della sua pittura, rispetto al contesto europeo. Nel contatto con altri artisti, tuttavia, si innesca anche una istintiva reazione di autodifesa, che porta Congdon ad allontanarsi dal gruppo degli action painters. Col passare del tempo, si accorge che la sua generazione, vittima della propria rabbia, è destinata a un rapido e tragico declino.
Congdon prosegue il suo viaggio da solo. Già intorno al 1950, mentre si allentano i contatti con l’ambiente artistico americano - anche se continua a esporre alla Galleria di Betty Parsons, alla quale resta legato da un fraterno rapporto di amicizia - mette a punto un personale linguaggio figurativo, accompagnato da una tecnica ormai matura.