Alla fine degli anni Settanta, Assisi e Subiaco non offrono più un ambiente adatto alla vita e al lavoro di Congdon, che comincia ad avvertire il peso degli anni. Ancora grazie all’amico Paolo, trova una nuova sistemazione nella Bassa milanese, a Gudo Gambaredo, in una casa-studio annessa a un monastero benedettino, conosciuto come Cascinazza. Le peggiorate condizioni fisiche non gli consentono più di viaggiare, privandolo della risorsa cui aveva sempre attinto per dipingere.
Confinata nella “tristezza informe della Lombardia”, la pittura diviene per Congdon l’”osso” a cui aggrapparsi, in un luogo che è la spoliazione di tutto. Dopo due anni, inaspettatamente, dalla terra nebbiosa di Lombardia nasce una intensissima stagione di opere. Le novità evidenti della pittura di Congdon sembrano prendere in contropiede, per primo, lui stesso. I grandi campi di colore dipinti in questi anni appaiono molto distanti dai quadri del passato: in un certo senso, però, li ricomprendono e li superano, aprendo ulteriori orizzonti.
La critica italiana ed europea torna a guardarlo con curiosità. Nasce il “caso Congdon”. Gli storici dell’arte cominciano a cogliere tutto il valore e la ricchezza di un artista passato attraverso tante vicissitudini biografiche e professionali.