“Da Giotto a Cimabue nella Basilica di San Francesco gravitai verso il crocifisso bizantino che parlò a San Francesco. Nel convento di San Damiano cominciai a leggere i Fioretti di San Francesco (…). Uno straniero mi tirò fuori dalla mia solitudine e dalla mia inquietudine e mi condusse alla Pro Civitate Christiana dove, benché sconosciuto dai suoi membri, mi fu dato un saluto di tale cordialità che non potrò mai dimenticare. Don Giovanni Rossi mi domandò con semplicità se stavo pensando di diventare cattolico. Il mio poco convincente “no” era una confessione. Fu anche uno dei momenti decisivi della mia vita. “Tornerò” dissi nel partire. Volevo nascondere a me stesso che stavo fuggendo dalla verità che mi aveva chiamato il cui segno e simbolo era sorto nei miei quadri e mi aveva condotto ad Assisi”.
In verità Congdon impiegherà nove anni per tornare ad Assisi e convertirsi al Cattolicesimo. Sono anni fitti di viaggi, fughe e ritorni, ma la Basilica di San Francesco diventa, per assenza, la pietra di paragone di ogni luogo.
Il mio romanticismo esigeva sensazioni sempre più nuove e stravaganti. Come assalito da un impeto cosmico per abbracciare tutta la terra in una monumentale immagine viaggiavo rapidamente e costantemente cercando nei simboli redentrici degli altri i surrogati della mia propria salvezza. In India il mio simbolo era l’enorme tomba di alabastro della Taj Mahal, candida e pura, mentre dal cielo gli avvoltoi si tuffavano sui cadaveri dei cani che galleggiavano nel fiume Jumna. In Grecia il Partenone nella luce dorata mi dava la sicurezza dell’eternità. In Egitto le piramidi si ergevano come triangoli di refrigerio e di conforto contro il vento infuocato del deserto e delle mie passioni. Il duomo d’oro di Santa Sophia maternamente sorvegliava e nutriva la frenetica città nera di Istanbul. (…) Il disco di luce – la mia dorata Basilica di Venezia – divenne ora un disco di lava, il buco del cratere di un vulcano nel Mare Egeo.
Volevo nascondere a me stesso che stavo fuggendo dalla verità che mi aveva chiamato il cui segno e simbolo era sorto nei miei quadri e mi aveva condotto ad Assisi.
Tornai al mio studio in Italia. Nel mio spirito non c’era immagine. Non avevo né la volontà né la disperazione per dipingere. La pittura che fu per me la prima rivelazione portava il seme della mia seconda rivelazione: la conversione. La luna o il disco d’oro che era sorto sopra la mia Città Nera del ’49 era diventato la Chiesa. Mi gettai in essa.
Il 15 agosto del 1959 William Congdon riceve il battesimo nella Basilica di Assisi.
Il dissolversi di Venezia cede il passo alla consistenza di Assisi, dove Congdon si stabilisce su invito di don Giovanni Rossi.
Non posso dire di averla mai amata [Assisi] nel senso dell’amore che ho per Venezia… perché Venezia era mia, mentre Assisi non era di nessuno perché era di San Francesco (…) Assisi mi ha convertito, Venezia mi ha fatto dipingere… Ah, Venezia! È tutta orpello (…) Assisi è scarna come un osso, Assisi è l’osso (…) l’osso è il tutto perché è il nulla. Non c’è niente, bisogna vestirlo (…) Non lo amo, mi secca, San Francesco. Mi annoia, ma è l’osso… Ecco l’osso, la base, il cranio, è Cristo.