Con l’American Field Service, in qualità di guidatore di ambulanze, nel maggio 1945 Congdon entra nel campo di concentramento di Bergen Belsen, appena liberato: davanti ai suoi occhi, l'agghiacciante spettacolo di 65 mila uomini ridotti allo stato di larve. Congdon trascorre a Belsen un mese intero, impegnato nell’opera di soccorso. La presenza massiccia della morte scuote il suo nervo creativo: ne nascono numerosi disegni di membra, volti e occhi sgranati di moribondi.
È con la partecipazione alla guerra che la scelta per la pittura diviene vocazione.
Fu soltanto durante l’ultima guerra (…) che nel bisogno dei sofferenti (…) per la prima volta, già trentenne, trovai me stesso negli altri, divenni conscio della mia origine d’amore negli altri, e sperimentai una libertà fino allora sconosciuta e la gioia della realtà.
L’incontro con l’Italia, avvenuto durante gli anni della guerra, è destinato a durare nel tempo. Nel duplice volto che il Paese gli offre, il volto della sofferenza e della pietà, ma anche della seduzione e della bellezza, Congdon ritrova la medesima duplicità della propria natura e talento creativo, che sembra fiorire in condizioni di isolamento e lotta interiore.