Nei primi anni Cinquanta, nell’orizzonte geografico ed emotivo di Congdon emerge Venezia. Venezia lo seduce con la sua bellezza. Tra la città lagunare e il pittore scatta una sorta di relazione passionale: Venezia prima lo travolgerà con il suo fascino, poi - come un’amante esigente - lo assorbirà quasi completamente, e infine lo annoierà, lasciandolo svuotato e ansioso di cercare altro.
Nei primi soggiorni veneziani del 1948/49 Congdon non si era messo in gioco completamente: sedotto dal fascino ornamentale della città e dalla sua sensualità mediterranea, era rimasto in superficie, ancora spettatore e non già “interprete” di Venezia. Quando vi torna nel 1950, il suo rapporto con la città cambia. Dopo le esperienze newyorchesi e italiane, sempre più solo e vulnerabile, Congdon consegna a Venezia le domande e le ferite aperte. Providence, Bergen Belsen, New York l’hanno segnato con la macchia indelebile della corruzione e della morte. Ora lo splendore di Venezia lo abbaglia come una promessa seducente.
La massa caotica della città nera si spezzò ora per formare un corridoio tra i due palazzi che fiancheggiavano la piazza. La luna arancio che era sorta sopra il mio incubo di paura a New York diventò la Basilica d’oro di San Marco, alla quale ora potevo accedere. Non più un disco vago come un pianeta lontano ma un porto in cui mi era possibile entrare. La basilica sorgeva più grande e cominciava a dominare le mie pitture di Piazza San Marco. Incominciai a fondere polvere d’oro nei miei colori. Quest’oro sembrava respirare da dentro le mie basiliche e diventò per me, come per i mosaicisti del Medioevo, un simbolo spirituale.
Congdon allestisce a Venezia vari studi, e vi trascorre lunghissimi periodi. Piazza San Marco è il soggetto di decine di quadri. Tornare ossessivamente sugli stessi luoghi, riprodurli in modo simile ma sempre diverso, non è ripetizione:
Non si dipinge un soggetto per liberarsene, - per finirlo - ma per sempre ricominciarlo; il vero soggetto si approfondisce, si rigenera col dipingere che lo scopre: quadro dopo quadro.
Peggy Guggenheim afferma che le sue vedute veneziane sono le prime, dopo quelle di Turner, a interpretare la bellezza di Venezia in modo originale.
Il legame con Venezia è inversamente proporzionale a quello con la patria: negli anni Cinquanta i soggiorni negli Usa diventano sempre più brevi e quasi unicamente legati all’attività professionale. Congdon continua, tuttavia, a sentirsi artista americano in esilio culturale: infatti il suo primo destinatario resta il pubblico statunitense.
Dopo quattro anni di passione, anche Venezia non lo emoziona più. Nel 1951, il suo peregrinare lo conduce altrove.